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I RE SASSANIDI
(seguito)
I. Principio del regno di Khusrev-Pervîz.
(Ed. Calc. p. 1866-1867).
Rapidamente allor con due destrieri
Mandava Gustehèm d’Azergashàspe
Al tempio un uom, per ch'egli andasse tosto
Appo Khusrèv per l’ombre de la notte,
Andasse a lui con quel novello annunzio
Da l’iranico suol. Giunse quel messo
Dal nuovo sire quando già trascorsa
Era la notte fosca e tenebrosa
Perchè novella era la luna, e aperto
Ciò che vide e ascoltò, con ansia e affanno,
Posesi a raccontar. Si fe’ il garzone .
Pallido in volto quale è pur del fiore
Del fiengreco la foglia, e così disse:
Di chi per manco di saper, nell'ira,
Lungi sen va da la diritta via
Ch’è di prudenza, nè ha timor dell’opre
Del ciel sublime, inutil cosa rendesi
Tutta la vita. Che se tal sventura
Che tu dicesti a me, tornami a bene,
<pb n="8.6"/>
_ 6 —
Davver! che il cibo mio, che i sonni miei
Cangiansi in vampa che mi strugge! Allora
Che stese il padre al sangue mio la destra,
Loco non féi di mio soggiorno in quella
Irania terra. Or io gli son qual servo,
A parola ch'ei dice, obbediente.
Con uno stuol d’eroci, trafitto al core,
Venne per la sua via nell'ora istessa
Quale un rapido fuoco. Ei sì temea
Che pria di lui giugnesse ambizioso
Behràm guerrier d'altero capo, e intanto
Da Bèrda e d'Ardebil si distendea
Quell’esercito suo, ratto ei venia
Con un inclito stuol di cavalieri.
Anche d'Armenia esercito discese,
Qual tempesta correndo per la via
Con quel figlio di re. Come novella
In Bagdàd ne arrivò, ch’egli ascendea
Competitor del trono imperiale,
Tutta ebbe pace la città per quello
Annunzio fausto, e per tal pace e quiete
Toccò il fin di sue brame il valoroso
Che ambia possanza. Vennero a incontrarlo
Del castello i magnati e quelli tutti
Che parte si prendean di tanta gioia,
Vennero dalla via fino alla tenda
Imperiale, favellando a lui
Di molte cose. Molte cose invero
Ei là dicean, Khusrèv sì gli ascoltava
E de' prenci segula nobil consiglio
Nel cor devoto. Ma sovra un tappeto
Posero intanto in bianco avorio un trono
E di gran prezzo un serto e una collana
Di fulgid’or, quale recata un giorno
Molti regnanti avean, quale già molti
Monarchi visti avea su quel tappeto;
<pb n="8.7"/>
— 7
E re Khusrèv nel suo dolor frattanto,
Entrando alla città, venia dinanzi
Al padre suo con sospirosi accenti.
Or che dirò di questa che si muove
Rapidamente nè giammai si posa
Dall’opre sue, vòlta del ciel sereno?
Ella porge a qualcun reale un serto,
Altri abbandona al mar, quale a’ suoi pesci
Esca segnata. E quegli ha nudo il piede,
Vuota la man, scoverto il capo, e loco
Di riposo non ha, non di quiete.
Ella porge a tal altro un miel soave
Ed un latte purissimo e di seta
Anche il riveste e di broccati. Alfine,
Ambo sen vanno de la terra al grembo,
Ambo vanno a cader nel tenebroso
Laccio di morte. Che se l’'uom ch'è saggio, .
Nato non fosse mai, giorno di guerra
Mai per lui non sarebbe, e se veduto
Nulla del mondo egli s’avesse, cosa
Miglior saria veracemente, grande
Sia ch’ei si mostri o picciolo fra gli altri.
Ed or, per l’opre di Khusrèv, novella
Fatica porterem, nuovo racconto
Apprestando a lettor di queste carte.
II. Colloquio di Khusrev col padre.
(Ed. Calc. p. 1867-1869).
Come sedette su quell’aureo trono
Prence Khusrèv, ne andò ciascun che avea
Nobile ingegno. Elli invitàr quanti erano
D'inclito pregio e sul novello serto
Sparsero gemme. Così disse allora
<pb n="8.8"/>
_ 8_
A’ sacerdoti il re: Questa corona
E l'aureo trono maì non tocca alcuno
Se non d'inclita sorte. Oh! mai non sia
Arte alcuna di me fuor che giustizia,
Chè iattura pur sempre arreca a noi
Ogni ingiusto operar, sì che si volge
Al bene ognor nostro regal consiglio
Con ciascuno quaggiù, sciolta è la mente
D'opere prave dal pensier. Frattanto,
Io da l'Eterno il mio novello trono
Ricevo sì, la mia novella sorte
Splendida e ricca di gran pregio. Voi,
Voi pur ponete al mio comando il core,
In ogni opra ver noì con tre impromesse.
E in pria l’uom saggio non si offenda; ancora
Non volgasi ribelle al re la fronte;
Al terzo loco, da cose d’altrui
Lungi si resti, chè cotesto adduce
Duolo a chi ’l fa. Sovente altri in tal voglia
In buona ora s’accende o intempestiva ;
Anche per cosa che non ha valore,
Il cor d’alcuno arde sovente. Intanto,
Vuolsi ritrar da quest'arma fallace
Pronta la mano e la diritta via
Di giustizia cercar. Qual è poi cosa
Che ad uman senso accordisi, cotesta
Accetti la ragione. Odii o contese
Io non ho con alcun, s'anche qualcuno
Per sè cercava la corona mia
O l'anello regal. Ma chi ha per nobile
Lignaggio in terra nascimento illustre,
Non favella ad alcun fuor che in giustizia.
Sola vi resti sicurezza ch’io
All’opre d’AhrimàN non pongo il core.
Ciascun che udia del prence le parole,
Fe’ voti e auguri per il suo regale
<pb n="8.9"/>
_9_
Trono e pel serto. Andavano gioiosi
Da quel seggio regal, benedicenti
Alla fortuna di tal re. Discese
L'inclito sire da quel trono ancora
Beato e lieto, ma d'Hormùzd ricordo
Fece costante per la notte intera.
Come sparì dell’atra notte il velo,
Negro qual scheggia d’ebano, e agli orecchi
Giunse cantar di galli da lontano,
Discese al padre suo quel re del mondo
Subitamente, al cor ferito e pieno
Di duol nell’alma. Come il vide, in gemiti
Ei sì proruppe e l’ossequiando intento
Stette lung'ora innanzi a lui. Del padre
Come vide Khusrèv disfatto il volto,
Per acerbo dolor mandò dal core
Un sospiro profondo. Ei ne baciava
Gli occhi e la testa e i piè, gonfio di duolo
Nel cor trafitto e lagrimoso in volto,
Fin che dir gli potè: Deh! padre un giorno
Sì fortunato, a Nushirvàn monarca
Erede in terra, ben sai tu che s'io
Stato qui fossi a te sostegno, alcuno
Trafitta non t'avria neppur con picciolo
Ago la punta d'un tuo dito. Or vedi
Qual comando mi dài; chè a te ne venne
Aspro dolor, m’è pien d’affanno il core.
Che se comando mi dài tu, qual servo,
Custode al capo tuo, qui resterommi
Alla tua porta, nè vogl’io d'armati
Una falange, nè mi chieggo un serto,
Ch'io medesmo dinanzi al seggio tuo
Recidere vorrei questo mio capo.
Dissegli Hormuzd: O saggio figlio mio,
Questo giorno di doglia e di rancura
Per me ancor passerà, nè lungamente
<pb n="8.10"/>
— 10 —
Incolume sarà chi a me fe’ questo,
Chè passano per noi rapidamente
Dolori e gioie. Or io da te desire
Ho di tre cose, nè più in là da queste
E cerco e bramo; ed una è sì che ogn'alba,
Di gran mattin, con la tua cara voce
L'orecchio mio tu allegri, indi mi mandi
Un cavalier fra questi che levata
Han la cervice, qual di lunche guerre
Abbia ricordo e di battaglie e assalti
Faccia sermone ed aggia per i boschi
Cacciato ancor. M'invia pur anco un savio,
D'antica età, che favelli de’ prischi
Re della terra e portimi notato
Un libro suo, perchè m'’allevii almeno
Questa rancura e il mio dolor. Ma terzo
Desire è questo ancor che li tuoi zii
Servi, non pari, siano a te; non veggano
D'oggi in avanti con lor occhi il mondo,
E tu, pel mio dolor, l'alto tuo sdegno
Contr’essi muovi. — O re, gli rispondea
Khusrèv allora, incolume non resti
Chi non si duol per tue pupille spente;
E se alcuno v'è pur nell'alma trista
Che nemico a te sia, lungi da questa
Terra sen vada. Ma tu nota intanto
Col sereno tuo spirto esser de’ prodi
Behràm Ciubineh il capitano, esercito
Seco menar qual è più assai di computo,
Cavalieri ed eroi che vibran spade.
Che se la man stendiamo a Gustehemme
Per castigarlo, non avremo in terra
Loco tranquillo ad abitar. Ma intanto,
Perchè qui sia per te un antico scriba
Che legga al mio signor d'antichi eventi
La storia, e seco un cavalier nutrito
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Nelle battaglie, quale ancor le leggi
De’ banchetti conosca e de’ conviti,
Un nuovo in ogni tempo io d'inviarti
Avrò pensiero, e tu dolente e mesto
Pel dolor tuo non ti mostrar. Tal duolo
Non dir che ti venia da Gustehemme,
Ch'esso è da Dio, per opere e per detti
Non conformi a ragion. S'allieti adunque
In tale affanno il tuo bel cor, congiunta
Sia pazienza al senno tuo. Ma poi,
S'io dalla sorte toccherò mio dritto,
La mia vendetta piglierò su questi,
Gustehemme e Bendùy tristi ed indegni,
Senza lenzuolo funeral gittandoli
Esca de’ cani. E tu beato sii,
Figliuol di Nushirvàn; l'anima tua
Eternamente giovane si resti!
Dicea cotesto e lagrimando uscia
Dal cospetto di lui; non però schiuse
Ad alcuno quaggiù quel suo secreto.
Più assai del suo signor pieno d'amore
Era quel figlio, ed un antico saggio
Sentenza disse in ciò: « Giovane amico
Di sermon dolce ed eloquente assai
È di vecchio miglior, cadente e stanco.
Eppur, l’uom stolto e il sapiente ancora
Avranno un giorno da la stessa terra
Coperto il capo. Non è scampo mai
Dall'apprender cotesto, e chi diria
Che pari son fra lor l’uom saggio e dotto
E lo stolto e l’ignaro? In sapienza
Nobile meta di te sta; tua pace
Ti darà il cielo in paradiso. Intanto,
Come sostien la fragile persona
L'alimento quaggiù, di sapienza
L'alma abbisogna, e non è scampo. Iddio
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— 12
Tu chiama vincitor, santo e possente,
In tutte l’opre, e non temer di cosa
Che altri stimi quaggiù picciola o grande ».
III. Venuta di Behràm Ci@bîneh
(Ed. Calc. p. 1869-1872).
Come intese Behràm quale incogliea,
Per avverso destin, trista sventura
L’inclito sire (avergli altri ne' fulgidi
Occhi confitto arroventato ferro,
Onde s'erano estinte ambo coteste
Lampade chiare, come bei narcisi
In ameno giardin, sedersi il figlio
Sul trono suo regal, riversa al suolo
Della fortuna la grandezza), questo
In ascoltar, stupia Behràm guerriero
E impallidia. Ne' suoi pensieri assorto,
Così dicea: Giunse per me stagione
D'armi e d'assalti, e recheremci in pugno
Del mondo signorìa col valor nostro.
E comandò che fuori altri recasse
I timpani sonanti e alla campagna
Si traesse il vessil di sua grandezza.
Le provvigioni egli apprestò, l’esercito
In ordin pose e favellò di sua
Vicina guerra con Khusréèv. Si mosse
Quell’esercito allor quale un gran monte
Che via cammina, fin che ardito e presto
Di Nahrevàn alle sponde giungea.
Dell’opre di costui come novella
Ebbe prence Khusrèv, molto si dolse
Di questa impresa impetuosa e tosto
Vigili attorno esploratori suoi
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— 13 —-
Mandò le cose a investigar del mondo.
Disse a cotesti: Primamente è d’uopo
Accertar de l’esercito nemico
Qual sia secreta voglia, e se fra l'armi
Con Behràm battaglier que’ prodi suoi
Saran concordi; ovver, cotesta impresa
Lunga sarà per noi. Veggasi ancora
Se Behràm si fa duce al medio loco
Dell'esercito suo, se ad un de' corni,
Come si asside allor che in sua presenza
Accoglie altrui, se ne’ viaggi suoi
Cerca la caccia. — Uscian dalla regale
Magion di lui gli esploratori, e niuno
Dell’esercito suo di tal secreto
Conscio fu allora. Andaron tutti e videro
E ritornàr; secretamente ci vennero
Appo lor prence e dissero: L'esercito
In ogn'opera sua col duce accordasi,
Giovinetti sian elli o sian degl'incliti
Principi suoi. Nell'ora che le armigere
Schiere egli mena per la via, nel mezzo
Dell'ampio stuolo ei sta per alcun tempo,
Volge talor verso diritta e a manca
Talvolta ancor, tal’ altra ove s'accolgono
Le provvigioni. Ed egli è tal che lungi
Vede con gli occhi de la mente e cercasi
Ardite imprese. Anche il vedemmo noi
Eroe prudente e cavalier. Ma sempre
Ei la sua gente serbasi secreta
Nè d'uopo egli ha di gente estrana, e al tempo
Ch'altri egli accoglie, come i re pur fanno,
In trono asside, cercasi la caccia
Per la campagna con segugi e nulla
Ei vede o sa fuor che di re battaglie,
E leggesi pur sempre di Kalila
E di Dimna il volume. — Al consigliero
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— 14 —
Così disse Khusrèv: Lunga una impresa
Ecco! innanzi ci vien. Quando il destriero
Behràm sospinge contro al suo nemico,
Anche de’ mostri nel profondo mare
L'alma si frange. Imperial costume
Dai re del mondo egli si apprese, e allora
Ch'egli ha, qual dì’, per consigliero il libro
Di Kalila, davver! che niun si vanta,
Com’ ei fa, uno scrittor che dia consigli!
Indi a Bendùy e a Gustehemme ei disse:
A. fatica e a dolore oggi siam noi
Davver! congiunti. — Ma Gherdùy frattanto,
Endimàn e Shapùr, Darmàn, signore
D'’Armenia, tutti, con l'iranio prence,
In secreto sedean, principi tutti
D'inclito senno e bellicosi, e a questi
Principi re Khusrèv così dicea:
O valorosi da l'eretta fronte
E belligeri miei, quegli che chiaro
Senno possiede nella mente sua,
Per saper ch'egli vanta, ha intorno al corpo
Una lorica, nè la spezza alcuna
Punta nemica fuor che de la morte
L'acuta spada. Ogni casco d'acciaio
Molle si fa dinanzi al mortal ferro
Qual molle cera. Ed or, d'anni minore
Son io di voi, nè già poss'io la terra
Di gioventù col debile consiglio
Attorno camminar. Dite qual sia
Arte sottile in ciò, dite chi senta
Maggior dolore in quest'alta ferita.
Dissegli allora il sacerdote: Lieto,
Lieto vivi, o signor, lume e alimento
Di tal che ha parvo ingegno. Allor che in pria
Questo mistero del rotante cielo
Mostravasi, divisa in parti quattro
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— 15 —
Fu intelligenza. Parte ai re assegnata
D'essa è una parte, chè s'addice ai regi
Senno con maestà. Fu l’altra parte
Dell’uom prudente, e andò la terza ai servi
De’ regnanti quaggiù. Quando si trova
Appo il re de la terra un fido servo,
Ei non nasconde il senno suo. Restava
D'intelligenza picciola ed esìle
Anche una parte, e l'assegnava il saggio
All’uom che in villa nacque. Oh! ma l’ingrato
Non ha d'intelligenza alcun sentore,
Non ha colui che non conosce Iddio!
Che se tai detti il mio signore ascolta
Quali un giorno dicea vigile e accorto
Il saggio antico, s'ei con l'occhio puro
Del suo cor ciò considera pensando,
Frutto eletto n’avrà, tosto che forza
Dei saggi detti pènetri il suo core.
Dissegli '1 re: Se questi detti tuoi
Scrivessi in auro, degno ben sarìa
Di mio costume e dignità sovrana.
Il dir parole oneste è propria cosa
De’ sacerdoti; ma diverso in core
Un pensiero mi sta. Come di contro
Ambe si troveran le avverse schiere
E saliranno a’ Gemini nel cielo
Di lor aste le punte, a me non certo
Biasmo ed onta verrà s'io fuor balzando
Dell'esercito mio dal medio loco
Verrò, verrò dinanzi alle adunate
Falangi in guerra e chiamerò con alta
Voce Behràm, impuro capitano,
Duro nel suo desio. Pur della pace
Un vago aspetto additerògli e molte
Carezze gli farò lodando ancora.
E s’egli ascolta le parole mie.
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— 16 —
Cosa miglior sarà, chè veramente
Qual è gagliardo in questa reggia mia
Che gli sia pari? Ma se guerra ei cerca,
Io guerra cercherò, menando incontro
L'una dell'altra le falangi nostre..
In tal sentenza che il novello sire
Così dicea, tutti que’ saggi allora
S'accordàr tostamente. I prenci tutti
Benedissero a lui, re della terra
Festosi l'acclamàr, mentre ciascuno
Così dicea: Lungi da te rimanga,
Almo signor, della fortuna avversa
L’opra malvagia! Abbi vittoria sempre
E di re dignità, grandezza vera
E serto imperial sovra la fronte.
Così disse Khusrèv: Cotesto sia
Veracemente, alcun di noi non vegga
Iattura mai, non division d'amici!
Fuor di Bagdàd l’esercito ei traea
Subitamente, alla vasta pianura
Suoi recinti novelli egli traea.
Allor che per la via scendean vicine
Le schiere avverse, da una parte il duce,
Il re da l’altra, quando cadde presa,
Quale in un laccio, questa lampa fulgida
Ch'è luce al mondo, e le sue trecce sparse
La notte oscura, andavan le vedette
D'ambe le genti a custodir l'esercito
Da repente assalir di danno in via.
Ma tosto che la notte iva fuggendo
Dalla spada del dì, rapida in corsa
Qual è colui che con aride labbra
Fugge temendo in cor, d’ambo i recinti
Levossi di timballi alto un fragore
E il sol già si vedea qual de l'assalto
Guida secura. Fe’ comando il sire
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— 17
A Gustehemme ed a Bendùy che in fronte
Sì ponesser lor caschi alto ferrati,
E co' suoi prenci d’anima serena
Di Nahrevàn sino a le fonti ei venne.
Veniano allor senza frapporre indugio
Le vedette a Behràm. Venne, diceano,
A due tratti di frecce ampio un esercito.
Behràm, tosto che udì, trasse le schiere,
Tutti chiamando i prenci suoi già esperti
Delle battaglie, e montò in sella a un candido
Corsier che bruna avea la coda, rapido
Nel balzar, con eretta la cervice
E di bronzo con l’ugne. Avea per armi
Un ferro d'India, ch'era tal ne’ colpi
Qual fuoco che da nube si scoscende,
E il destriero ei spingea quale un baleno
Chiaro e lucente. Avea da man sinistra
Ized-gashàsp malvagio, Azergashàspe
E Yelan-sìineh ancor. Venian cotesti
Pieni al cor di vendetta e di contese,
E tre Turani ardimentosi, stirpe
Dei re di Cina, v'eran anco, accinti
Contro a Khusréèv in fiera giostra; ognuno
D'esti tre detto avea : Ratto che il volto
Dell’iranio signor vedrem da lungi
Dal medio loco di tue schiere, lui
O avvinto o ucciso t'addurrem. Davvero!
Che allor s'acqueterà la terra tua!
Da questa parte re Khusrèv, da l’altra
L'eroe, nel mezzo la fontana limpida
Di Nahrevàn. D'ambe le parti intanto
Stavansi a rimirar le accolte schiere
Come contro al suo re l'eroe n'andava.
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— 18—-
IV. Colloquio di Khusrev e di Behràm.
(Ha. Calc. p. 1872-1883).
E Behràm e Khusrév là s’incontravano,
L'un d’essi aperto il volto, oscuro e tristo
L'altro di contro. De la terra il prence
Candido come avorio un palafreno
Si cavalcava, d’oro in su la fronte
E di rubini un diadema e attorno
Un ammanto s’avea tessuto in oro,
Opra cinese. Gli era innanzi e guida
Prence Gherdùy, ma Gustehemme illustre .
E Bendùy del monarca erano a lato
Con quello, di Berzìn nobile figlio,
Kharràd, che un elmo d’or portava in fronte.
Tutti cotesti eran coperti d'oro
E d’argento e di ferro, e le cinture
Auri-fulgenti sotto da’ rubini
Non apparilan per la gran copia. Allora
Che di quel re di principi la fronte
Behràm scoverse, dalle gote sue
Sparve color per improvviso sdegno,
Ed egli ai duci si rivolse e disse:
Ve'! che questo figliuol di meretrice,
D'infausti segni, da viltà e bassezza
A valor si levava e si fea ricco
E cintura cingeva! E sì gli appare
Su quel volto d’avorio una lanugine
E rara e sparsa! Ve'! ch’egli diventa
Re Fredun con la clava e la corona!
Egli imparò costume imperiale,
Ma cesserà per lui rapidamente
Nel mondo signoria. Ve’! che il bastardo
<pb n="8.19"/>
— 19 —
D'anima fosca guidasi l’esercito,
Di Nushirvàn qual è costume! Or voi
Da un capo all'altro le sue accolte schiere
Mirate sì, se v'è qualcun fra’ suoi
Di nome illustre. Un cavalier non veggo
Di pugne amante qual con me ne venga
Un solo istante a contrastar. Ma intanto
Quei si vedrà qual d’'uomini gagliardi
‘È l’opra vera, il correr de' cavalli,
De le spade il colpir, che sia la polve
Della battaglia, e de le ferree clave
Lo scender forte e di saette acute
L'orrida piova e il gridar degli eroi
« Piglia! dàlli! ritieni! ». In questo campo
Un elefante non resiste allora
Ch'io dal mio loco a contrastar con l’armi
Balzo fremendo. E caggiono scrollate
Alla mia voce le montagne ancora,
E fuggesi vigor di chi più mostra
Ardimento nell’alma. Or, con la spada
Possente una malìa su questo fiume
Avventerò, volgendo in sangue tutte
Quell’acque sue dall'una sponda all'altra.
Disse e dal loco suo quel suo destriero
Spronò di color bianco. Oh! detto avresti
Che un'aquila volante era il destriero
Veracemente. Angusto loco ei prese
A far battaglia e l’esercito intero
Di lui meravigliava. Ei così venne
Al Nahrevàn dal campo suo, dinanzi
Così fermossi a’ principi più illustri,
Ed erano con lui de’ prodi Irani
Alcuni inver, contro a Khusrèv dell'armi
Accinti già per contrastar con seco.
Così disse Khusrèv: Principi illustri,
Indizio chi ha di voi di quell’altero
<pb n="8.20"/>
— 20 —
Behràm Ciubineh? — O re, Gherdùy rispose,
Guarda all’eroe che candido destriero
Là si cavalca. Bianca è la sua veste,
Neri i pendagli, e in mezzo all’altre schiere
Il bianco palafren ratto ei sospinge.
Come vide Behràm del mondo il sire,
Da tal principio l’esito conobbe
Rapidamente e così disse: Quello,
È quello sì che lunga ha la persona,
Di color fosco qual di fumo, assiso
Sovra bianco destrier dal capo eretto?
Ei sì, Gherdùy rispose, egli è colui
Che d’opre egregie non fe’ mai pensiero.
Se tu inchiedi colui dal dorso incurvo,
Khusrèv dicea, ben aspri a le risposte
Farà suoi detti. Quale adunco grifo
Ei reca un ceffo e gli occhi ha chiusi; è pieno
D'ira il cor suo, diresti ancor. Se il guardi
A que' tristi occhi suoi, maligno ei mostrasi,
Ch'egli è di Dio nemico in terra. Intanto,
. Pensier di sommission nella sua mente
Io non discopro, e niun d'obbedîenza
Avrà da lui ben che picciola prova.
A Bendùy poscia e a Gustehemme ei disse:
Questa sentenza mia dal cor secreto
Io scioglierò. « Quando a portar suo peso
Il giumento non vien, quel grave peso
Reca tu stesso del giumento al dorso ».
Ma poichè corrompea Behràm Ciubineh
Un tristo Devo, la diritta via
Di Dio, signor del mondo, in qual mai guisa
Potria veder? Quel cor ch'è corruccioso
Per trista ambizion, frutto non tocca
Da consiglio d’altrui. Che se tu scendi
Alla battaglia, ogni faccenda compiesi,
Ma vuolsi in pria dal suo principio al fine
<pb n="8.21"/>
-—21
Ogni cosa osservar. Chi sa, in battaglia
Chi vittoria s'avrà, chi fia di doglia
Ricolmo e sazio e chi sarà la luce
Dell’esercito suo? Così dinanzi
Esercito ne sta già in ordin posto,
E n'è duce Behràm che le battaglie
‘Cercasi e agogna, un uom, qual Devo ardito,
Tristo e malvagio, con drappel d’armati
Qual di lupi ululanti è una caterva.
«Che se con me pur v’accordate, nulla
©Onta m’avrò da ciò ch'io dico. Primo
A favellar m'’avanzerò con lui,
E questo meglio fia che ne la guerra
Mostrar viltà. Che se da lui parole
Io m’otterrò dentro misura, antiche
E viete si faran per me sue colpe,
Ben che recenti e nuove. Io per la terra
Assegnerògli separato loco,
D'’animo grato gl'imponendo ufficio
Nel darlo a lui. Così, la nostra guerra
Volgerassi alla pace insiem col fiero
Proponimento in questo campo d'armi,
‘E dalla pace un dolce frutto ancora
Io sì m’avrò, sarà senza periglio
La mente mia, d'ogni sospetto reo
Libera e sciolta. Allor che da mercante
‘Opera il sire, il cor d'ogni più saggio
Lieto per lui sen va..— Dissegli allora
‘Gustehemme: O signor, vivi beato
Fin che tempo sarà! Ne' detti tuoi
Perle tu spandi; tu di noi più saggio
Sei veramente, ciò che più ti piace,
“ Tu fa. Nella giustizia, ecco! tu sei,
Ma ingiusto è il servo tuo; tu pien di senno,
Quei di superbia e di codardo vampo.
Khusrèv, come ascoltò, sua via percorse,
<pb n="8.22"/>
— 22 —
Con fiero incesso de le squadre ei venne
Alla presenza e di Behràm guerriero
Fece inchiesta da lungi, ei che cercava
Di battaglia nel di feste e tripudi.
Così disse a Behràm: Fiero mortale
Che rechi altera la cervice, quale,
Qual l’'opra tua nel campo dell’assalto ?
Ornamento sei tu della mia reggia,
Gloria sei tu del trono mio regale
E del serto, sostegno a' prodi miei
Della pugna nel di, quale una lampa
Fulgida e bella in tempo che s'appresta
Convito genial. Cerchi possanza,
E se’ gagliardo e a Dio fedel. L'Eterno
Mai non tolga da te la mano sua!
Or però di tua sorte ebbi pensiero
E con bontà l’opere tue che festi,
Ebbi gradite, sì che te con questo
Drappello tuo farommi ospite e gioia
A questo spirto recherò nel dolce
Aspetto tuo. Con diritto verace
D'Irania ti dirò vassallo e duce,
Benedicendo in nome tuo l'Eterno.
Behràm eroe quelle parole sue
Ratto che intese, abbandonò le redini
Al suo bianco destrier che bruna avea
La’ coda irsuta, e salutò il suo prence
Dal dorso eretto del corsiero. Stette
Lungo tempo là innanzi, indi rispose
Quel cavalier dal candido cavallo:
Lieto e ‘allegro son io con la fortuna
Propizia e amica, ma per te non sia,
Deh! non sia mai della grandezza il giorno,
Chè ingiustizia non sai, non sai giustizia
Di tuo grado real! Quando si prende
Costume imperial chi degli Alani
<pb n="8.23"/>
Principe è detto,. ogn’uom di trista sorte
Il soccorre ed aita. Ed io pur anco
Della tua sorte ebbi pensiero, e un laccio
Novellamente a torcere mi posi
Per te, chè tosto eleverò nel campo
Un alto legno e con quel laccio attorto
Ambe le man ti avvincerò. Da quello
Arbor degno di te ti farò appeso,
E amarezza per me vedrai del Fato.
Come Khusrèv cotal risposta intese
Da Behràm cavalier, quelle sue gote
Impallidîr qual di fiengreco è rosa.
Ben s’avvide che il cor mai non torrìa
Da pensier di corona o di regale
Seggio colui, non tornerebbe mai
A diritto sentier. Così rispose:
Deh! tu ingrato! Davver! che sì non parla
Quell’uom che Iddio conosce! Allor che viene
Alle tue case un ospite da lungi,
Del tripudio nell’ora imprechi a lui.
De' regnanti costume oh! non fu mai
Di questa foggia, non de’ cavalieri
Che alta reggon la fronte, e ciò non fece
Alcun d’Arabia, non di Persia alcuno,
Anche se a numerar trenta fiate
Anni cento vai tu. Di ciò vergogna
Ha l’uom ch'è saggio, e tu a la porta intorno
Non t'aggirar d'animo ingrato. Allora
Che un ospite gentil ti dà una voce,
Sol così come fai risposta rende
Malnato Devo; ond’io già temo assai
Che a te ne venga di tuo danno il giorno,
Chè tu stesso travolto il tuo consiglio
Conosci e vedi. Ogni tua aita è in mano
Di quel Re ch’è vivente in sempiterno,
Disciolto in suo voler. Del peccatore,
<pb n="8.24"/>
— 24 —
Dell’uom ch'è ingrato, in biasmo è la persona,
Nello sgomento è il cor. Che se m'appelli
Re degli Alani, ad una parte sola
Ti apponi tu del nascer mio. Deh! forse
Che indegno son del grado imperiale ?
Forse ‘che a me della grandezza il serto
Più non s'addice? L’avo mio fu Kìsra,